Vedere la danza anche senza la vista

Tratto da Corriere Romagna

SAN MARINO. Sono uniti nella vita e nell’arte della danza, dal 2016 il loro è un rapporto simbiotico da cui ha tratto ispirazione lo spettacolo che va in scena al Teatro Titano: “Let me be”, nell’ambito del circuito-rassegna “E’ Bal. Palcoscenici per la danza contemporanea”.

Il lavoro è nato dall’urgenza di esternare la narrazione di uno spettacolo di danza a una persona che non vede ed è proprio ciò che fa Camilla con Giuseppe che è non vedente a causa di una malattia degenerativa che lo ha colpito nell’adolescenza. Da quel momento ha scoperto un modo altro di coltivare interessi e desideri, praticare sport e dedicarsi alla danza. «È accaduto grazie a Virgilio Sieni, nel 2009, lui mi ha introdotto in questo mondo a me fino ad allora totalmente sconosciuto». E da allora non si è più fermato, creando spettacoli spesso anche in solo come quelli che ha portato alla Biennale danza di Venezia con grande riscontro di critica e pubblico.

Comuniello, da cosa nasce “Let me be” e perché questo titolo?
«L’input viene dal fatto che la danza per i non vedenti è un tabù e possono seguirla solo se qualcuno gliela descrive. Per Camilla è normale, lei mi racconta cosa accade in scena quando siamo spettatori. Da qui siamo partiti e facciamo vedere al pubblico i nostri piani di visione abbinando alla narrazione con le parole anche la descrizione fisica. Ecco il senso del titolo, “Let me be”, e questo spettacolo dà il via a una trilogia».

Quindi cosa accade sul palco? Chi c’è in scena e come si presenta?
«La scena è vuota e tutta bianca. Sul palco saliamo noi due mentre Giulia Campolli è in platea che audio-descrive. Noi diamo vita a un paesaggio di corpi, luci e storie con movimenti e interpretazioni. Sono immaginari apparentemente uguali che invece cambiano creando molteplici variazioni e punti di vista. Trasportando sul palco la nostra descrizione privata mentre assistiamo a uno spettacolo, emerge ogni aspetto del vocabolario e non solo quello parlato, anche quello fisico. E ogni aspetto struttura una delle parti in cui è diviso il lavoro. Per non disturbare gli altri Camilla usa con me parole sottovoce, e spesso descrive i movimenti sulla mia mano, come si vede nel video proiettato».

Quindi dimostrate che anche un non vedente può vedere la stessa cosa che vedono gli altri?
«Sì, offriamo un ulteriore piano di visione, un doppio piano, uno in tempo reale, che è poeticamente narrato e non semplicemente descritto, per questo ogni spettatore sarà dotato di un audioguida, e in contemporanea noi due che agiamo sul palco».

Ieri sera avete tenuto un laboratorio: questa per voi è ormai una prassi?
«Certo, ormai lo è. Il laboratorio aperto a tutti parte da un lavoro fisico di contatto che serve a creare il gruppo, a farlo stare bene senza paura di muoversi. Poi lavoriamo sui piani di visione che ognuno può offrire: si scoprono tante cose, è come una sorta di preparazione alla visione».

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